LIBRO EGIZIANO DEI MORTI
Introduzione
Kitab el- Mayytun, letteralmente Libro del Morto, fu la designazione araba impiegata dai violatori delle necropoli faraoniche per qualsiasi rotolo di papiro rinvenuto nelle tombe. Designazione evidentemente assai generica potendo i papiri trattare dei più svariati argomenti, dal formulario magico al contratto di cessione dei terreni, dal grafico architettonico allo studio matematico o medico.
Tuttavia questo termine venne accolto nel secolo scorso dai pionieri delle ricerche egittologiche e tale convenzionalmente rimase, pur limitato alla miscellanea raccolta di formule, diffusasi nel Nuovo Impero, tendenti a assicurare il defunto contro i pericoli dell'oltretomba ed anche utili testo per i vivi. Ma il termine "libro" e la divisione in Capitoli può facilmente determinare un'impressione inesatta sulla reale natura di tale testo, suggerendo una organicità concettuale, cronologica e stilistica che È invece del tutto assente. Trattasi infatti di formule eterogenee e di disparata origine, indipendenti tra loro e senza alcun ordine di successione. La numerazione dei capitoli È opera moderna basata sulla "Recensione" più tarda, ma le varie copie del Libro dei morti, e in particolare quelle dell'epoca tebana, non rispettano tale progressione. Così ad esempio il papiro funerario di Iuya1 È composto dei Capp. I, XVII, XVIII, LXXXIII, LXXXIV, LXXVII, LXXXXVI, LXXXII ecc. Il vero titolo della raccolta È Libro per uscire al giorno, riferendosi alla possibilità, da parte dello spirito del defunto, mediante il retto impiego di tali formule, di uscire durante il giorno dal sepolcro. Naville interpreta invece "uscire dal giorno", intendendo per "giorno" la vita dell'uomo e conseguentemente attribuendo al testo il valore di formulario per agevolare il passaggio dalla vita alla morte e l'insediamento dell'entità spirituale del defunto del nuovo stato. Tale È anche l'opinione del Marucchi3 che interpretò il titolo come Libro per uscire dalla vita. Esotericamente "uscire al giorno", come evidenziato da J. Evola, significa penetrare nella luce immortale. La sua genealogia È quanto mai interessante e ci impone un sia pur sintetico excursus nel campo della tradizione scritta. E` evidente che quella orale del periodo arcaico abbia lasciato qualche impronta nella prima raccolta dei testi sacri: i Testi delle Piramidi.4 Questi si trovano incisi, senza alcun accompagnamento di scene illustrative, sulle parete delle camere sepolcrali di alcune piramidi a Sakkara: quella di Unis della V dinastia, i Pepi I, Merenra e Pepi II della VI dinastia, mentre ulteriori testi addizionali e paralleli sono stati scoperti nelle piramidi delle regine Udjebten, Neith e Apuit, sempre a Sakkara.5 Alcune concezioni espresse in tali testi vanno riferite direttamente al substrato africano e all'epoca preistorica, particolare là ove si tratta di pratiche funerarie. Ad esse si aggiunsero discordanti elementi mal fusi delle primitive concessioni stellari, della teologia solare e del culto di Osiride. Questi vesti vennero redatti nell'Antico Impero esclusivamente per il Faraone e per una ristretta cerchia di appartenenti alla casa reale, escludendo nettamente ed esplicitamente dai benefici del paradiso celeste l'uomo della strada. La rivoluzione democratica operata alla fine della VI din. elevò il defunto comune alla condizione di essere identificato con Osiride e l'insieme delle nuove concessioni arricchitosi di vari elementi propri ai testi delle Piramidi originò, a partire dal "Primo Periodo Intermediario" e sviluppandosi nel Medio Imputato, l'opera fondamentale: i Testi dei Sarcofaghi6 con la particolare sezione che crea un'opera a s‚, il Libro delle Due Vie.7 Una evoluzione nella prassi magica È indicata dalla presenza, in queste opere, di scene illustrative totalmente assenti nei testi delle Piramidi e che ora vengono invece riprodotte sui sarcofaghi di persone appartenenti anche alla classe media, chiara testimonianza della democratizzazione del rituale funerario. Lo sviluppo dei testi dei sarcofaghi va dalla VI alla XII din. mentre il Libro delle Due Vie risale alla XI din- e si trova riprodotto essenzialmente sui sarcofaghi provenienti da El- Bersheh. E` il primo Baedeker per il defunto, essendo costituito da una carta topografica degli Inferi con l'indicazione delle varie entità demoniache e con prescrizioni utili onde sventare i pericoli relativi. Esso costituisce la fase di transizione per il successivo testo sacro, il Libro dei Morti, che si sviluppa a partire dal Nuovo Impero. Ma va tenuto presente che questo periodo È proceduto da un hatus determinato dalla invasione degli Hyksos, i cosiddetti "Re Pastori" di stirpe semitica, provenienti dall'Asia. La violenta reazione egizia del periodo della riscossa distrusse la quasi totalità degli elementi attestanti tale denominazione: si salvarono solo gli scarabei degli agenti fiscali e qualche sfinge. Gli invasori asiatici costituirono inevitabilmente un facile ponte per il passaggio in Egitto di nuove correnti di idee che si sovrapposero e si amalgamarono a quelle preesistenti. Il Libro dei Morti risente di tale influenza, tanto che Sir Flinders Petrie propose addirittura di scinderne l'analisi nella sezione caucasica e in quella nilotica.8 Il suo giudizio si appoggia soprattutto sulla identità toponomastica di regioni dell'aldilà con luoghi reale esistenti nel Caucaso e situati nei punti indicati dal Libro dei morti. Così tra i tanti, Akeret o Ikret che designa il regno di Osiride (cap. XV, XVIII, CXXVII), È identificato con Ekretike. La porta Zesert (greco Tosort) delle colline ove sorgeva il Sole (cap. CIX, Pap. Nu) È nella identica posizione del distretto di Tosarene. Nei suoi pressi, secondo il libro dei Morti si stendevano i fertili campi di Aaru o Iaru e in realtà presso Tosarene scorre il fiume Iora che traversa la Transcaucasia. Così ancora nel testo egizio È detto che questi campi si trovano "dietro la testa" di Karu (cap. XVII) e il fuome Iora ha inizio dalla montagna nei paesi del fiume Kur. La porta orientale del cielo aveva a sud il lago di Khalusa (cap. CIX, Pap. Nu), e, al limite orientale della valle caucasica dal lato sud, si trova Kholuata, il lago Chalasi. A nord dei campi di Iaru scorreva il fiume Reu (cap. CXLIX) e a nord del Caucaso È il gran fiume Rha. La grande montagna Bekhau (cap. CLXXII, Pap. Nebseni) viene riferita a Baku la cui posizione, secondo le indicazioni del Libro dei Morti sarebbe analoga. E, ancora, la "Terra del Tramonto", Tamanu (cap. XV) avrebbe per corrispondente la penisola Taman al limite Occidentale del Caucaso. Gli esempi portati dal Petrie potrebbero continuare, ma lo stesso Autore giustamente osserva che i "nomi sono materia assai rischiosa per basare su di essi delle conclusioni" e non possiamo che associarci ad un giudizio così ponderato. Del resto voler considerare il Libro dei morti come la carta topografica del Caucaso ci condurrebbe a conclusioni assurde e pertanto, pur accentando la testimonianza delle influenze di varia natura nella sua compilazione, non possiamo limitarci a semplici considerazioni d'ordine esteriore. Il perpetuo dualismo che caratterizza le istituzioni dell'antico Egitto e che risale ai due regni predinastici, influisce anch'esso sulla topografia dell'oltretomba, con la ripetizione di località realmente esistenti dell'Alto e del Basso Egitto e particolarmente dei centri cultuali più importanti. Per tale motivo, a fianco di quei nomi in cui il Petrie ha ravvisato una influenza caucasica, ricorrono spesso nelle formule del Libro dei morti, le indicazioni toponomastiche delle divisioni amministrative, delle città e dei templi dell'Egitto, la maggior parte delle quali esattamente identificate. Ma questo riflesso dell'Egitto reale nel regno dei morti È puramente simbolico e molte volte deve essere trasferito sub specie interioritatis ricordandosi come, nella terminologia misterica, le indicazioni di luoghi, più che a reali posizioni topografiche, vanno sovente riferite a "stati di essere", a particolari condizioni cioÈ dell'entità psichica disincarnata. In questa posizione si trova il Libro dei morti nei confronti della civiltà che lo ha generato? Esso non costituisce, come generalmente si crede, il "Libro sacro" degli antichi Egiziani, paragonabile ai veda, alla Bibbia o al Corano. L'unico punto di contatto con tali testi È dato dalla comune affermazione della ispirazione divina. Non È neanche un "rituale funerario", come definito da alcuni studiosi dello scorso secolo: gli spunti ritualistici sono assai rari e, nell'aspetto di formulario che il sacerdote legge in favore del defunto, possono in parte collegarlo al Bardo Thodol tibetano. Ma in realtà il Libro dei morti non È affatto un libro. Esso, come si È già precisato, È una miscellanea raccolta di formule, un grimoire magico, la cui lettura mirava al raggiungimento di ben definiti effetti. Le singole sezioni di cui si compone il testo vennero chiamate "Capitoli" dai primi traduttori, mentre lo specifico termine originale È "formula", rappresentato in geroglifico dalla bocca umana.9 Ciò volle indicare che le formule in questione non erano semplici divisioni del testo, ma che dovevano essere effettivamente pronunciate. Ed È in genere il Kheri - Heb, il sacerdote - lettore che, con la "giusta voce" ed impersonando il defunto, le vien recitando il giorno del funerale, accompagnando la processione funebre sino alla tomba ove il testo sacro sarà poi deposto, prima che il pesante lastrone di pietra sia fatto discendere nel corridoio sottoerraneo per bloccare l'accesso al sepolcro. Il Capitolo introduttivo del Libro dei Morti specifica infatti: "Formule... pronunciate il giorno del funerale, giungendo (alla tom) e prima di andar via" . In vari punti del testo ricorre poi la prescrizione di leggere la formula in favore di un proprio stretto congiunto (padre o figlio). La lettura si appoggia sulle parole e queste sono il supporto delle idee. Le "parole", in egiziano mwdw, sono rappresentate dal bastone da passeggio, dal "supporto". E le formule che compongono il Libro dei morti sono definite: "gli scritti delle parole divine che sono il Libro di Autohoth". E` a questa divinità, simbolo del sapere, che la tradizione sacra dell'antico Egitto attribuisce infatti la compilazione del testo. Si tratta quindi, nella sostanza, di un supporto tangibile delle idee cosmiche e la lettura, la vibrazione della voce, appoggiandosi alla vibrazione della forma data dal segno grafico, rende dinamicamente attive le idee espresse dai titoli delle singole sezioni.10 Ma di quale Cosmos si tratta? All'altro estremo dello sfociamento nell'Universale, proprio e alcune dottrine estremo - orientali, sta la concezione egizia, espressa nel Libro dei morti. Qui il centro del discorso È dato dall'Ego individuale. Un Ego, si badi bene, cristallizzato, un Ego mummificato, sottratto alla legge nel divenire, a dispetto delle stesse leggi della Natura. Questo Ego È il centro del suo proprio Cosmos. Tutto gravita attorno a lui, tutto È a lui condizionato e riferito: È il defunto "glorificato che impersona le più disparate divinità: da Atum a Ra , da Osiride sino a Set, il Dio del Male, allorchÈ si tratta di minacciare gli altri dei. I suoi accenni si elevano in questo caso fieri e terribili, per scendere poi alla più pietistica forma di implorazione, per negare quello che un minuto prima si era perentoriamente affermato? Il lettore impreparato al linguaggio magico resterà perplesso, disorientato. Ma un Universo concepito in vibrazione assoluta, animato, in un Universo in cui "ciò che È in alto È come ciò che È in basso", può comprendersi come determinati spiriti (e qui si intende il sigillo caratteristico di un popolo o di una razza) abbiano voluto sottrarsi alle leggi di una "morale" per rintracciare le chiavi di una matematica superiore ed adoperarle ai propri fini. Ed È qui l'urto tra la concezione "magica" e quella "mistica". Da un lato la prepotente affermazione di volontà di un Ego, che fa violenza alle stesse leggi divine, dall'altra la subordinazione incondizionata dello spirito al supremo volere di Dio. Il giusto impiego delle Formule (e "giusto" in egizio non ha nulla a che fare con "morale", riferendosi al corretto impiego tecnico), sottrae l'individuo al karma, al redde rationem. Si tratta di alterare il "D.N.A. spirituale", di modificare il codice genetico animico, memoria delle colpe e delle trasgressioni. La formula diretta al cuore nella cerimonia della psicostasia impedisce alle proprie colpe di essere considerate come tali. La "conoscenza", l'identificazione, cioÈ, attiva della realtà essenziale e la scissione dalla non realtà, opera ciò che la stessa morale da sola non sarebbe stata capace di ottenere: l'immortalità nel senso individuale - autocosciente. Può essere qui ricordato come in Oriente esista tutto un elenco di delitti che possono essere impunemente compiuti dal brahmano, cioÈ da colui che, avendo raggiunto la "conoscenza", ha superato ogni vincolo terreno. In Egitto l'Universale vien fatto gravitare attorno al nuovo sole, al nuovo centro di coscienza che le formule magiche e il rituale hanno creato sul supporto tangibile del corpo mummificato. E la vita del Accusa comincia così ad estrinsecarsi nel "paradiso terrestre" situato nella necropoli. Paradiso terrestre tutto artificiale e per questo perennemente in pericolo: entità mostruose e estremamente crudeli, spiriti, larve di morti, vengono a contestare il passo al nuovo venuto, al neo - defunto che vuol prendere possesso della propria residenza. A ciò si aggiungono i pericoli fisici contro la mummia stessa, animali nocivi, vermi e serpenti, con la possibile corruzione del corpo e la conseguente fine del "paradiso artificiale". Ma ecco le formule magiche giungere in soccorso: vibrazioni di voce e segni grafici diventano le armi potentissime per disgregare e respingere le entità avverse, per circondare il accusa e la mummia di una corazza difensiva invulnerabile. Le leggi che presiedono al a creazione delle formule possono essere paragonate a qualcune di una occulta geometria ritmica, nella quale le cadenze, le accentuazioni da una parte, e le forme grafiche dall'altra, danno un risultato esprimibile in termine di alta matematica. Tutto ciò prescinde dalla necessità di una "logica" esteriore nella elaborazione del testo. L'importante È che l'emissione di determinati suoni, appoggiati a determinate rappresentazioni grafiche, sia capace o meno di determinare una "corrente" vibratoria tale da raggiungere gli effetti tracciati della volontà dell'operatore. Ciò premesso È evidente che non ci si può attendere una logica razionale strettamente intesa nelle formule che compongono il Libro dei Morti. Come giustamente osservato da Renouf e da Naville "esse non sono una descrizione di ciò che È detto dei loro titoli: sono parole magiche che ottengono il risultato indicato da quei titoli". Lo schema di ogni Capitolo può essere così rappresentato: 1. TITOLO, in cui È espresso ciò che può essere ottenuto pronunciando la formula in oggetto. 2. TESTO, che sovente non ha alcun rapporto col titolo stesso, ma la cui lettura costituisce la vibrazione magica per ottenere quanto specificato dal testo. 3. Eventualmente una RUBRICA, che segue il testo con indicazioni tecniche sull'impiego della formula (trascritta in rosso, almeno parzialmente, donde il nome di "rubrica"). Qual È il soggetto delle formule? Abbiamo indicato come il centro del discorso sia il defunto stesso, il defunto nella individualità del suo nome che, in ossequio alle regole della magia onomantica, viene trascritto all'inizio di ogni formula. Djed mwdw in ... "Parole a dirsi da..." È il protocollo seguito dal nome del defunto, trattato sempre con l'appellativo di Osiride e con la qualifica di "giustificato". Al defunto "giustificato" vanno riferiti tutti gli elementi del discorso magico: divinità, spiriti, entità benefiche o malvagie, larve dei morti etc., tutti i cittadini di quel mondo in cui il Ka del defunto deve risiedere. Naturalmente tutte queste entità devono essere inquadrate nelle caselle loro corrispondenti ed ecco quindi l'evocazione di particolari eventi mitologici, cosmologici, astronomici, sul senso della maggior parte dei quali siamo purtroppo condannati all'ignoranza, mancando di testi integrativi. Inframezzate alle formule magiche propriamente dette emergono a tratti i bagliori di quella morale naturale che È di ogni luogo e di ogni tempo: "Detti da mangiare all'affamato, da bere all'assetato, vestii l'ignudo e traghettai chi era privo di barca..."11. E` il riflesso di quel codice etico cui l'Egiziano improntò la propria vita e che costituisce il substrato delle varie "Istruzioni" o, "Massime", genere letterario di vasta diffusione. Nonostante la tradizione leghi l'origine del Libro dei Morti al Dio Thoth, esso non È opera di un solo compilatore, n‚ frutto di una determinata epoca. Prima di arrivare alla sua definitiva versione, o Recensione, quella Saitica, esso ha attraversato le principali fasi della storia d'Egitto. L'Antico Impero con le sue dottrine stellari e solari, riunite nei testi delle Piramidi, il Medio Impero con i Testi dei sarcofaghi, dei quali sussistono ancora formule del periodo precedente arricchite di nuove, frutto dello sconvolgimento sociale e religiose verificatosi alla fine della VI dinastica. E il Nuovo Impero, che vede la prima Recensione del Libro dei morti, quella Tebana, trascritta sui papiri. Le Rubriche, di alcuni capitoli, narrano come quella particolare formula fosse stata rinvenuta "incisa su blocchi" già durante la I dinastia. Che questa asserzione corrisponda o meno alla realtà, non ha grande importanza.. Certo È che alcune formule rispecchiano idee antichissime ed usi addirittura preistorici ed È altrettanto vero che i testi più antichi non furono" scritti", bensì incisi in blocchi di pietra o di rame. Blocchi di questo tipo venivano impiegati quali depositi di fondazione nella costruzione di nuovi santuari, per allontanare dal luogo le forze avverse e conciliare quelle favorevoli. I Testi delle Piramidi stessi sono incisi a incavo sulle pareti degli appartamenti sepolcrali e i segni poi colorati in azzurro, colore al quale gli Egizi attribuirono un particolare valore magico e che caratterizzò la produzione degli amuleti in faience. Quindi prima incisi e poi scritti, i testi geroglifici delle formule sacre. Ed anche in questo secondo aspetto vi È una pluralità di applicazione: sarcofaghi, pareti tombali e papiri. I registri sono in genere verticali per comodità di trascrizione sulle pareti prima, e successivamente nei papiri quale copie dei tesi parietali. La Recensione Tebana non presenta alcun ordine nella successione delle formule o nel numero che viene a comporre i singoli papiri. Molto È ad libitum del cliente in rapporto al suo censo. Così, dagli esemplari estremamente lunghi e finemente miniati, si può passare a quelli assai brevi e poco illustrati, sino al Cap. LXIV : "Formula per uscire al giorno riassunta in una sola Formula". CioÈ un capitolo riassuntivo che la tradizione fa risalire come origine all'epoca di Menkaura e che, posto tra le bende della mummia, poteva sostituire il testo intero. E poich‚ il valore taumaturgico risiede oltre che nella vibrazione fonetica, anche nel segno grafico, questi papiri vennero sovente posti quanto più possibile a contatto nel corpo mummificato. Ma, si È già detto, il Libro dei morti fu anche considerato utine testo per i vivi. Questo particolare aspetto È stato in genere trascurato, mentre ha grande importanza per un giudizio in profondità sulla reale essenza del testo in oggetto. La Rubrica del Cap. XVIII dice: "... Colui che reciterà questo capitolo sopra di s‚ sarà sano sulla terra e potrà avanzare nel fuoco senza che gli capiti alcunchÈ di male, in verità. Nel Cap. LIX vi È l'affermazione: "Io raggiungo un'età avanzata" che non avrebbe senso se riferita al ka di un defunto. Così ancora nel Cap. LXXI È detto: "datemi numerosi anni di vita in aggiunta al i miei anni di vita". La Rubrica del Cap. CXXV specifica che "se avrà scritto questo testo su s‚, esso lo farà prosperare... egli aumenterà nell'affetto del re e della sua corte..." E, più esplicitamente, la Rubrica del Cap. CXXXV indica che "Se conoscerà (questa formula) sulla terra, egli diventerà come Thoth, onorato dai viventi e non soccomberà vittima nell'ira regale... ma sarà fatto avanzare sino a buona età". Ed ancora, la Rubrica del Cap. CLXXIII: "Se ha letto questo in terra, egli non sarà portato via dagli emissari... non sarà ferito, n‚ morirà sotto i colpi del re. Non sarà arrestato e messo in carcere, ma entrerà tra i Cortigiani...". Gli esempi potrebbero continuare. Per concludere si riporterà la Rubrica del Cap. CLXII destinata al re: "Se tu poni l'immagine di questa dea (sulla quale È stata recitata la formula) al collo del re che È in terra, egli sarà una fiamma nell'inseguire i suoi nemici e i suoi cavalli non conosceranno tregua". Tutto ciò conferma il carattere di grimoire magico che riveste il formulario stesso. Di non minore interesse È lo studio della sua evoluzione, dall'Antico Impero sino alla tarda epoca saitica. La condizione richiesta al defunto, per esempio, di essere di "bocca giusta" e cerimonialmente puro, quale espressa nel Libro dei Morti, si ritrova già nei testi delle Piramidi.12 La facoltà di trasformazione che ha il Ka del defunto, in vari animali, soprattutto volatili come il falco, l'airone, l'oca, etc., limitata al re nei testi delle Piramidi,13 si democratizza nel Medio Impero nei testi dei Sarcofaghi14 e giunge finalmente al Libro dei Morti.15 La minaccia agli dei , già presente nei testi delle Piramidi16 la si ritrova nei testi dei Sarcofaghi17 e nel Libro dei morti. L'idea di un giudizio preliminare, che nei testi delle Piramidi riguarda il re, come interrogatorio da parte del traghettatore,18 È presente nei testi dei Sarcofaghi19 e sfocia nel Libro dei morti nell'aspetto della psicostasia o "Confessione Negativa". Il timore che, per mancanza di appropriate offerte, il Ka fosse costretto a cibarsi di escrementi lo troviamo sia nei testi dei sarcofaghi che nel Libro dei morti, alla pari col desiderio di alimenti, del timore dei serpenti e di altri animali nocivi, del desiderio di uscire al giorno, etc.. Idee specifiche dei testi delle Piramidi, quali la dottrina stellare con Orione, Sothis, le Infaticabili e le Indistruttibili stelle, i Sicomori del Sole, i Campi Elisi etc., sopravvivono nel Libro dei morti. Studi analitici condotti su singoli "Capitoli" di quest'ultimo testo hanno fatto rintracciare vari prototipi antichi, come per i Capp. XVII, XVIII, L, LXIV, LXVIII, LXXII, LXXVIII, CVIII, etc.. Non si può conseguentemente parlare di un vero e proprio archetipo del Libro dei morti, poich‚ la sua elaborazione ha subito un processo di stratificazione che si È protratto nei secoli. Ogni formula, quindi, ha il suo proprio archetipo che potrà essere più o meno antico e le cui filiazioni subiscono talvolta alterazioni e modifiche assai profonde. Ciò È dovuto soprattutto alla incuria degli scribi copisti. Essi trascrivevano infatti sui papiri le varie formule, copiandole da esemplari dipinti sulle pareti della stanza, oppure da rotoli, sempre prendenti alle pareti. Bastava iniziare da un punto anzichÈ da un altro per cambiare tutta la disposizione; la distrazione faceva talvolta ricopiare la stessa formula più volte e l'ignoranza aggiungeva errori grammaticali o inserimenti di glosse che sovente rendono del tutto incomprensibili intere frasi. Col Nuovo Impero si sviluppò grandemente la produzione commerciale del Libro dei morti. I testi già sacri ed elaborati ad personam vengono ora preparati in anticipo a metraggio e con vignette più o meno elaborate, secondo il prezzo che il cliente sarà disposto a versare. Solo lo spazio per il nome del defunto viene lasciato in bianco e riempito all'ultimo momento. Talvolta gli spazi di questo genere non vengono neanche riempiti e ciò per pura distrazione. Questo fatto È riscontrabile in vari punti dello stesso Papiro di Torino qui appresso descritto. E` in fondo lo stesso o fenomeno che si verifica con gli "Scarabei del Cuore" in cui la formula risulta incisa in anticipo e lo spazio per il nome È lasciato in bianco. E` tutta una fiorente industria che si sviluppa, specie attorno ai luoghi sacri di maggior fama, là ove i pellegrini accorrono nelle feste giubilari in processioni solenni, cogliendo l'occasione per acquistare in quei luoghi venerati i filatteri e gli amuleti, utili sia in vita che per il giorno della sepoltura. Ed È conseguenza inevitabile che il generalizzarsi del commercio degli oggetti sacri, l'"uscir dal tempio" per andare a finire in bottega fosse accompagnato da uno scadimento della intrinseca qualità degli oggetti stessi e dalla moralità in generale. Scribi di poca fede ricopiavano meccanicamente frasi di cui avevano, in molti casi, perduto il senso, fidando anche sulla generale ignoranza in fatto di conoscenza della sacra lingua, i geroglifici. Le prime copie del Libro dei morti, seguendo la tradizione antica, vengono eseguite in questa scrittura. Alla XXI din. si verifica il graduale impiego dello ieratico. In questo periodo, come si È detto, non esiste una vera codificazione o edizione standard. Ciò si verifica, sia pure in senso assai lato, per la successiva Recensione, quella Saitica, in cui la scrittura geroglifica torna in onore. Non che tutti i papiri prodotti in questo periodo siano composti dallo stesso numero di formule, ma l'ordine progressivo, in cui esse appaiono, resta genericamente fissato. Ed È su un esemplare dell'epoca tarda, il più lungo e il più completo a nostra disposizione, che il Lepsius nel 1842 procedette alla numerazione base dei capitoli da I a CLXV. Trattasi del Papiro di Torino che viene qui presentato per la prima volta integralmente in copia fotografica con la relativa traduzione. Il Lepsius ne pubblicò la trascrizione litografica, senza darne la traduzione. Esso ha costituito pietra di paragone dei successivi studi compiuti su tutti gli altri papiri e la stessa Recensione Tebana È stata numerata in base alla classifica del Pepsius, con l'aggiunta di ulteriori formule non esistenti del Papiro di Torino. Si presentò naturalmente la necessità di una edizione critica dei papiri della Recensione Tebana per l'indispensabile opera di comparazione, e ciò venne attuato dal Naville, basandosi sugli esemplari conservati nei vari Musei. Una prima traduzione della Recensione Saitica apparve nel 1867 ad opera del Birch, seguita da una del Pierret nel 1882. La Recensione Tebana venne tradotta da Sir Le Page Renouf e completata dal Naville. Anche il Budge si occupò di questa Recensione basandosi soprattutto sugli alcuni di Renouf e di Naville, per illustrare i papiri del British Museum. In Italia vanno ricordati gli studi del Marucchi e l'opera dello Schiaparelli. Il Roeder da parte sua ha contribuito a questo campo di ricerche, mentre un Catalogo dei papiri del Nuovo Impero conservati a Londra È apparso nel 1938 Per opera di A. Shorter. Due tendenze si sono precisate in merito al metodo di Traduzione del Libro dei morti. Una, di cui il Gunn È stato il sostenitore, mira all'opera nel suo insieme e prende in considerazione solo la raccolta delle formule in se stessa; l'altra, con a capo il Sethe e gli studiosi del Gottinger Totenbuchstudien, si concentra sull'analisi del dettaglio, su singole frasi nelle singole formule. Metodo quindi sincronico e metodo diacronico. E poich‚ in ogni caso risulta assai più complessa ed impegnativa traduzione integrale dell'opera, si sono sviluppati, in numero assai maggiore, studi su Capitoli isolati o anche semplicemente su frasi. La difficoltà della traduzione risiede soprattutto nelle forme estremamente corrotte, che alterano troppo spesso il senso del testo e che potrebbero essere eliminare solo parziale da un paziente studio comparativo, condotto su tutti gli esemplari delle varie epoche. Tra gli studiosi che in epoca recente si sono in vario modo occupati di questo testo, vanno annoverati T. G. Allen, P. Barguet, S. Pernigotti e M. Saleh. Una Volgarizzazione del Libro dei morti È apparsa in italiano nel 1956, tradotta dal francese ad opera del Kolpaktchy. Essa È una parafrasi, più che una vera traduzione, basata sull'edizione pubblicata dal Budge nel 1898. Non manca comunque di interesse per una visione generale, anche se non scientifica, del testo egizio. Il Drioton, che fornisce una "Lettera - Prefazione" a tale lavoro, sotto linea come sarebbe invece necessario, per comprendere il Libro dei morti, tradurre assolutamente al a lettera i tesi disparati che lo compongono. E` questo il metodo che si È seguito nella traduzione del Papiro di Torino con la sua integrale riproduzione in tavole fotografiche. Il perch‚ la scelta sia caduta su questo papiro più che su un esemplare della Recensione Tebana, poggia sul fatto che trattasi della edizione standard, del modello classico cioÈ del Libro dei Morti, che ha il pregio di costituire un lavoro unico, a carattere relativamente Omogeneo. Si È sottolineato inoltre come il Libro dei morti non sia la produzione di una singola epoca, ma sia venuto a formarsi progressivamente, arricchendosi ognora di nuove formule che rispecchiano sia le evoluzioni del pensiero religioso, che la predominazione politica assunta da particolari centri. La Recensione Tebana È una tappa nella storia del Libro dei Morti, ma non il traguardo. Pur non potendo essere assolutamente ignorata, costituendo la vera epoca d'oro di tale opera e pur presentando alcune formule che non trovano riscontro nella Recensione Saitica, si È preferita quest'ultima, che rappresenta la fase terminale nella vita del testo e che manifesta anche, in alcune formule addizionali, una interessante influenza africana da cui È invece esente la Recensione Tebana. A questi vantaggi si accompagna lo svantaggio nella maggior corruzione del testo. La degenerazione della lingua sacra e il fatto che i copisti dell'epoca tarda ignorassero in buona parte ciò che andavano scrivendo, ha reso la Recensione Saitica e in particolare il Papiro di Torino, un duro banco di prova per la pazienza e per l'analisi comparativa filologico - grammaticale. Lo studio già citato del Pierret si allontana troppo spesso dalla grammatica pregiudicando in molti casi il senso originale. la traduzione che qui si presenta È, per quanto possibile, letterale. Si sono indicati i punti di cui il testo È maggiormente corrotto e le interpolazioni rispetto agli esemplari più antichi. La ove la corruzione ha irrimediabilmente compromesso il testo si È riportata la restituzione comparativa, basata sulla Recensione Tebana. Con ciò non si intende affatto presentare un'edizione definitiva, possibile, se mai, solo quando saranno note le versioni di tutte le epoche e saranno stati completati gli studi analitici su tutte le fonti. E giova qui ricordare il lavoro intrapreso in tal senso da Nagel e Meystre e proseguito da quest'ultimo. A fianco della pubblicazione del Papiro di Torino si È voluto presentare una breve antologia, anch'essa fotografica, sulla evoluzione tipologica |