EBREI E LEVITI NEL III REICH
Quei 150.000 soldati ebrei di Hitler
Lo sconvolgente libro dello ebreo Bryan Mark Rigg
Contrariamente a quanto si crede generalmente, dopo le leggi razziali un numero assai alto di militari fu classificato dai nazisti come «parzialmente ebreo» (Mischlinge). Rigg dimostra che si trattò di oltre 150.000 uomini, tra cui c'erano veterani decorati e molti alti ufficiali, come generali e ammiragli. Questi soldati, come il libro documenta per la prima volta, non si consideravano ebrei e avevano scelto la carriera militare con devozione e patriottismo per servire la rinata nazione tedesca.
In cambio, erano stati completamente integrati nelle forze armate, che, prima delle leggi razziali, non avevano dato alcun peso alla loro origine, ma che adesso si vedevano costrette ad esaminare la discendenza dei loro uomini.
Ma la rimozione dei Mischlinge si rivelò quanto mai difficile e fu concesso un gran numero di "esenzioni" per permettere ai militari di restare al loro posto o per salvare la vita ai genitori o alle mogli. Molte di queste esenzioni furono firmate personalmente da Hitler. Col proseguire della guerra però, la politica nazista ebbe la meglio sulla logica militare e, nonostante il crescente bisogno di uomini da parte della Wehrmacht, divenne quasi impossibile per questi soldati scampare al destinodi milioni di altre vittime del Terzo Reich.
Basato su vaste e approfondite ricerche negli archivi e sulle fonti secondarie, e su oltre quattrocento interviste dell'autore a Mischlinge e a loro familiari, questo racconto apre un nuovo capitolo di un argomento che pure è stato molto studiato nel corso degli ultimi anni, indagando un ulteriore aspetto di quella realtà legata al Terzo Reich.
Contrariamente a quanto si crede generalmente, dopo le leggi razziali un numero assai alto di militari fu classificato dai nazisti come «parzialmente ebreo» (Mischlinge). Rigg dimostra che si trattò di oltre 150.000 uomini, tra cui c'erano veterani decorati e molti alti ufficiali, come generali e ammiragli. Questi soldati, come il libro documenta per la prima volta, non si consideravano ebrei e avevano scelto la carriera militare con devozione e patriottismo per servire la rinata nazione tedesca.
In cambio, erano stati completamente integrati nelle forze armate, che, prima delle leggi razziali, non avevano dato alcun peso alla loro origine, ma che adesso si vedevano costrette ad esaminare la discendenza dei loro uomini.
Ma la rimozione dei Mischlinge si rivelò quanto mai difficile e fu concesso un gran numero di "esenzioni" per permettere ai militari di restare al loro posto o per salvare la vita ai genitori o alle mogli. Molte di queste esenzioni furono firmate personalmente da Hitler. Col proseguire della guerra però, la politica nazista ebbe la meglio sulla logica militare e, nonostante il crescente bisogno di uomini da parte della Wehrmacht, divenne quasi impossibile per questi soldati scampare al destinodi milioni di altre vittime del Terzo Reich.
Basato su vaste e approfondite ricerche negli archivi e sulle fonti secondarie, e su oltre quattrocento interviste dell'autore a Mischlinge e a loro familiari, questo racconto apre un nuovo capitolo di un argomento che pure è stato molto studiato nel corso degli ultimi anni, indagando un ulteriore aspetto di quella realtà legata al Terzo Reich.
I SOLDATI EBREI DI HITLER
Ebrei contro ebrei?
Quando la rivista di propaganda nazista “Signal” dedicò la copertina al “Soldato tedesco ideale”, nel 1939, non poteva certo immaginare che quel volto appartenesse ad un giovane ebreo,
il Gefreiter Werner Goldberg. Questa la foto più sorprendente, delle
tante di ufficiali, generali, ammiragli, membri del partito nazista,
contenute nel libro del giovane storico ebreo Bryan Mark Rigg, laureato alla Yale University, “I soldati ebrei di Hitler” pubblicato recentemente da Newton & Compton nella collana “I Volti della Storia” (pagine 395, 16,90 euro).
Uno studio accurato, una documentazione quasi esasperata, durata anni
di viaggi, di incontri, di esami dettagliati di documenti pubblici e
privati, superando l’ostilità e il boicottaggio degli studiosi “ufficiali” della “questione ebraica”.
Nella prefazione, Rigg racconta d’essere stato ispirato alla ricerca dalla visione d’un film, “Europa, Europa” in cui si racconta la storia dell’ebreo Perel che, falsificando la propria identità, prestò servizio nella Wehrmacht e studiò in un collegio per la gioventù hitleriana dal 1941 al 1945.
Nella prefazione, Rigg racconta d’essere stato ispirato alla ricerca dalla visione d’un film, “Europa, Europa” in cui si racconta la storia dell’ebreo Perel che, falsificando la propria identità, prestò servizio nella Wehrmacht e studiò in un collegio per la gioventù hitleriana dal 1941 al 1945.
Il film raccontava una vicenda reale. Tornato all’Università di Yale, dove frequentava il secondo anno di college, Rigg si mise al lavoro. Gli sarebbe bastato trovare una dozzina di Perel e ne avrebbe ricavato uno studio interessante. Ne trovò 150.000 e questo sconvolse tutte le sue certezze.
Gli storici avevano sempre parlato di una cifra irrisoria di ebrei o mezzi ebrei (Mischlinge) che avevano militato sotto la croce uncinata. Mai tuttavia, ricoprendo alte cariche.
Rigg iniziò una corsa contro il tempo, poiché quei veterani morivano ormai a migliaia di giorno in giorno. Si avvalse dell’effetto “valanga”, nel senso che ogni intervistato faceva i nomi di altri camerati. Quasi tutti si mostrarono disposti ad aprire le loro case e i loro cuori. In più autorizzarono il libero accesso ai fascicoli personali contenuti negli archivi. Vennero fuori documenti “che nessuno aveva mai esaminato prima” (siamo tra il 1994 e il ’98!) e “furono dette cose che non erano mai state dette prima”. Le loro vicende costituiscono la testimonianza diretta d’una storia oscura e raccapricciante.
Una storia che molti professori avrebbero preferito restasse nei cassetti. Ma Rigg appartiene a quella schiera ormai folta di storici ebrei che, sulla scia di Kath, Arendt, Kimmerling, Novick, Finkelstein e altri, vogliono la verità sull’Olocausto. La critica, quando non li accusa di filo-nazismo (come accade per Hanna Arendt), li considera “revisionisti” nell’accezione staliniana del termine.
Sono quelli che alla domanda «perché un ebreo scrive queste cose?», rispondono: «Perché un ebreo NON dovrebbe scrivere queste cose?».
Il suo lungo studio, i suoi documenti, i suoi testimoni, ci conducono in un mondo in cui avevamo sentito parlare in fretta e per accenni, ma che mai avevamo penetrato e di cui mai prima d’ora avevamo incontrato gli abitanti: il mondo dei “soldati ebrei di Hitler”.
Una popolazione, non uno sparuto gruppo come si è voluto far credere per oltre mezzo secolo. Una popolazione con i suoi generali, i suoi ufficiali, le sue truppe.
L’elenco di Rigg è sconvolgente. Il feldmaresciallo Erhard Milch, decorato da Hitler per la campagna del 1940 (aggressione della Norvegia). L’Oberbaurat della Marina e membro del partito nazista Franz Mendelssohn, discendente diretto del famoso filosofo ebreo Moses Mendelssohn. L’ammiraglio Bernhard Rogge decorato da Hitler e dall’imperatore del Giappone. Il comandante Paul Ascher, ufficiale di Stato maggiore sulla corazzata Bismarck. Gerhard Engel, maggiore aiutante militare di Hitler. Il generale Johannes Zukertort e suo fratello il generale Karl Zukertort. Il generale Gothard Heinrici. Il generale Karl Litzmann, “Staatsrat” e membro del partito nazista. Il generale Werner Larzahn decorato da Hitler. Il generale della Luftwaffe Helmut Wilberg dichiarato ariano da Hitler. Philipp Bouhler, Capo della Cancelleria del Fuhrer. Il maggiore Friedrich Gebhard, decorato da Hitler. Il superdecorato maggiore Heinz Rohr, l’eroe degli U-802, i sottomarini tedeschi. Il capitano Helmut Schmoeckel…
Segue una sfilza di ufficiali, sotto-ufficiali, soldati. Tutti ebrei, o mezzi ebrei o ebrei per un quarto o addirittura per il 37,5 per cento, come il Gefreiter Achim von Bredow.
Poi la ricerca scava impietosa fino ad un nome terribile: Reinhardt Heydrich, “la bestia bionda”, “Il Mosè biondo”, Capo dell’ufficio per la sicurezza del Reich, generale delle SS, “l’ingegnere dello sterminio”, diretto superiore di Heichmann.
Era ebreo Heydrich? Molti assicurano di sì. Di certo suo padre lo era. Di certo gli fu accordata da Hitler “l’esenzione”.È una foiba, il libro di Rigg, da cui si estraggono scheletri che si voleva dimenticare, nome e fatti da cancellare. Nomi di uomini che fecero la storia del XX secolo. Fatti che resero quella storia atroce.
E forse fu per prudenza che al processo di Norimberga non si parlò di Olocausto, ma, più genericamente, di crimini di guerra o contro l’umanità.
Forse fu per prudenza che tra gli imputati non sedesse Heichmann, esecutore degli ordini di Heydrich.
«Non potevamo immaginare – ricordava Yitzhak Zuckerman, capo della rivolta del ghetto di Varsavia – che gli ebrei avrebbero condotto alla morte altri ebrei». E Zuckerman non si riferiva soltanto agli ebrei della Wehrmacht, della Luftwaffe, della Marina o delle SS, ma soprattutto ai sonderkommandos, la polizia ebrea collaborazionista così efficacemente e drammaticamente narrata dall’ebreo Roman Polanski nel suo ultimo film “Il pianista”.
Perché dunque, un libro come questo di Rigg ci sconvolge tanto? Forse perché il peso della “soluzione finale” è insopportabile e scopriamo di poterlo distribuire su altre spalle, anche quelle ebree. Forse perché siamo ancora alle prese con la retorica del “caso Priebke”. Un ultranovantenne, ex ufficiale nazista, accusato di non aver disobbedito a ordini considerati disumani e che il libro di Rigg inevitabilmente pone a confronto con centinaia di generali e ufficiali ebrei che quegli ordini li eseguirono tanto bene da meritarsi le decorazioni e gli elogi di Hitler. Forse perché ci ha aiutato a capire che non esiste una “colpa collettiva” del popolo tedesco, così come non esiste una “innocenza collettiva” del popolo ebraico.
P. Squitieri
Gli storici avevano sempre parlato di una cifra irrisoria di ebrei o mezzi ebrei (Mischlinge) che avevano militato sotto la croce uncinata. Mai tuttavia, ricoprendo alte cariche.
Rigg iniziò una corsa contro il tempo, poiché quei veterani morivano ormai a migliaia di giorno in giorno. Si avvalse dell’effetto “valanga”, nel senso che ogni intervistato faceva i nomi di altri camerati. Quasi tutti si mostrarono disposti ad aprire le loro case e i loro cuori. In più autorizzarono il libero accesso ai fascicoli personali contenuti negli archivi. Vennero fuori documenti “che nessuno aveva mai esaminato prima” (siamo tra il 1994 e il ’98!) e “furono dette cose che non erano mai state dette prima”. Le loro vicende costituiscono la testimonianza diretta d’una storia oscura e raccapricciante.
Una storia che molti professori avrebbero preferito restasse nei cassetti. Ma Rigg appartiene a quella schiera ormai folta di storici ebrei che, sulla scia di Kath, Arendt, Kimmerling, Novick, Finkelstein e altri, vogliono la verità sull’Olocausto. La critica, quando non li accusa di filo-nazismo (come accade per Hanna Arendt), li considera “revisionisti” nell’accezione staliniana del termine.
Sono quelli che alla domanda «perché un ebreo scrive queste cose?», rispondono: «Perché un ebreo NON dovrebbe scrivere queste cose?».
Il suo lungo studio, i suoi documenti, i suoi testimoni, ci conducono in un mondo in cui avevamo sentito parlare in fretta e per accenni, ma che mai avevamo penetrato e di cui mai prima d’ora avevamo incontrato gli abitanti: il mondo dei “soldati ebrei di Hitler”.
Una popolazione, non uno sparuto gruppo come si è voluto far credere per oltre mezzo secolo. Una popolazione con i suoi generali, i suoi ufficiali, le sue truppe.
L’elenco di Rigg è sconvolgente. Il feldmaresciallo Erhard Milch, decorato da Hitler per la campagna del 1940 (aggressione della Norvegia). L’Oberbaurat della Marina e membro del partito nazista Franz Mendelssohn, discendente diretto del famoso filosofo ebreo Moses Mendelssohn. L’ammiraglio Bernhard Rogge decorato da Hitler e dall’imperatore del Giappone. Il comandante Paul Ascher, ufficiale di Stato maggiore sulla corazzata Bismarck. Gerhard Engel, maggiore aiutante militare di Hitler. Il generale Johannes Zukertort e suo fratello il generale Karl Zukertort. Il generale Gothard Heinrici. Il generale Karl Litzmann, “Staatsrat” e membro del partito nazista. Il generale Werner Larzahn decorato da Hitler. Il generale della Luftwaffe Helmut Wilberg dichiarato ariano da Hitler. Philipp Bouhler, Capo della Cancelleria del Fuhrer. Il maggiore Friedrich Gebhard, decorato da Hitler. Il superdecorato maggiore Heinz Rohr, l’eroe degli U-802, i sottomarini tedeschi. Il capitano Helmut Schmoeckel…
Segue una sfilza di ufficiali, sotto-ufficiali, soldati. Tutti ebrei, o mezzi ebrei o ebrei per un quarto o addirittura per il 37,5 per cento, come il Gefreiter Achim von Bredow.
Poi la ricerca scava impietosa fino ad un nome terribile: Reinhardt Heydrich, “la bestia bionda”, “Il Mosè biondo”, Capo dell’ufficio per la sicurezza del Reich, generale delle SS, “l’ingegnere dello sterminio”, diretto superiore di Heichmann.
Era ebreo Heydrich? Molti assicurano di sì. Di certo suo padre lo era. Di certo gli fu accordata da Hitler “l’esenzione”.È una foiba, il libro di Rigg, da cui si estraggono scheletri che si voleva dimenticare, nome e fatti da cancellare. Nomi di uomini che fecero la storia del XX secolo. Fatti che resero quella storia atroce.
E forse fu per prudenza che al processo di Norimberga non si parlò di Olocausto, ma, più genericamente, di crimini di guerra o contro l’umanità.
Forse fu per prudenza che tra gli imputati non sedesse Heichmann, esecutore degli ordini di Heydrich.
«Non potevamo immaginare – ricordava Yitzhak Zuckerman, capo della rivolta del ghetto di Varsavia – che gli ebrei avrebbero condotto alla morte altri ebrei». E Zuckerman non si riferiva soltanto agli ebrei della Wehrmacht, della Luftwaffe, della Marina o delle SS, ma soprattutto ai sonderkommandos, la polizia ebrea collaborazionista così efficacemente e drammaticamente narrata dall’ebreo Roman Polanski nel suo ultimo film “Il pianista”.
Perché dunque, un libro come questo di Rigg ci sconvolge tanto? Forse perché il peso della “soluzione finale” è insopportabile e scopriamo di poterlo distribuire su altre spalle, anche quelle ebree. Forse perché siamo ancora alle prese con la retorica del “caso Priebke”. Un ultranovantenne, ex ufficiale nazista, accusato di non aver disobbedito a ordini considerati disumani e che il libro di Rigg inevitabilmente pone a confronto con centinaia di generali e ufficiali ebrei che quegli ordini li eseguirono tanto bene da meritarsi le decorazioni e gli elogi di Hitler. Forse perché ci ha aiutato a capire che non esiste una “colpa collettiva” del popolo tedesco, così come non esiste una “innocenza collettiva” del popolo ebraico.
P. Squitieri